Dopo ventiquattro anni e, pare, innumerevoli quanto reiterate suppliche, finalmente si apre un tavolo con il Ministero della Salute al fine di un doveroso aggiornamento della Tariffa nazionale dei medicinali.
Comprensibile la soddisfazione di tutte le associazioni di categoria per un tanto agognato traguardo, tuttavia, a questo punto, si tratta di capire che cosa chiedere.
Cominciamo da un'osservazione ovvia e banale: la farmacia del 2017 non ha nessuna parentela con quella del 1993, tutt'altri costi di gestione, tutt'altra rendita, impegno e onere di lavoro completamente diversi.
Prima inevitabile conclusione: aggiornare semplicemente la Tariffa appare improponibile e inaccettabile. D'altra parte, la tentazione ci sarebbe: se abbiamo dovuto aspettare ventiquattro anni per vederci riconosciuto il diritto ad un adeguamento dei prezzi che in qualunque altro ambito sarebbe stato statuito direttamente nel decreto di partenza, il primo impulso è quello di prendere subito quello che ci potrebbe venire offerto senza particolare sforzo, portare a casa il risultato ottenuto e gridare alla vittoria della categoria.
Il fatto è che non sarebbe una vittoria, ma l'ennesima umiliazione di una professione che non merita certamente di subire ulteriori svilimenti.
Il farmacista è un professionista come stabilisce il decreto legislativo n. 206 del 2007 (che recepisce la direttiva UE) e come tale va considerato, per cui bisogna necessariamente affiancare al concetto di tariffa quello di onorario. Purtroppo, invece, la Tariffa del 1993 quantifica il lavoro del farmacista in base al Contratto Collettivo Nazionale dei dipendenti, togliendogli quindi un'identità professionale per riconoscergli solo un ruolo subordinato e privilegiando erroneamente il prodotto da vendere rispetto all'apporto professionale del farmacista. Se noi accettassimo la stessa impostazione, di conseguenza dovremmo quantificare nello stesso modo anche l'intervento del farmacista nei vari servizi erogabili da una farmacia, con l'inevitabile risultato non solo di deprezzare i servizi stessi, ma, soprattutto, di dequalificarli e svalorizzarli.
Quali dovrebbero essere le variabili che incidono sull'onorario? Sostanzialmente le stesse che influenzano gli onorari di tutte le altre professioni, dal chimico, all'avvocato, al medico, all'ingegnere: la complessità del lavoro, la necessità di precisione ed accuratezza, il rischio, il valore della materia prima, l'innovazione, la qualità. Ragionare per forma farmaceutica, come accade attualmente, non solo non ha più alcun significato, ma sposta l'attenzione da ciò che ha veramente valore a ciò che è mero accessorio.
Infine, un'altra considerazione: in tutte le altre professioni l'onorario fissa soprattutto i limiti minimi a cui si deve attenere un singolo professionista, ma se un farmaco viene allestito in una farmacia certificata, con attrezzature sofisticate, sottoposto a controllo di qualità e prodotto in seguito a procedure rigorose e continuamente aggiornate, non può avere lo stesso valore di quello prodotto secondo le Norme di Buona Preparazione Semplificate ed è giusto che questo valore gli venga riconosciuto anche nel prezzo